martedì 25 gennaio 2011

ARTE A MANTOVA, 2000-2010


dal 23 gennaio al 25 aprile 2011  

Dopo la ricognizione effettuata nel 1999 sull'arte del '900 a Mantova e nelle sue diramazioni, questa nuova esplorazione riprende i fili di quel passato per avviare una ulteriore messa a fuoco della situazione in atto. Con la consapevolezza che nulla vi è di esaustivo in questo sforzo di conoscenza, ma anche con la certezza che questi limiti impliciti non possono frenare l'impegno di costruire una mappa delle forze attive nel presente.
Come spesso avviene nella geografia artistica delle diverse città italiane anche a Mantova si respira l'atmosfera di una ricerca disseminata su più fronti operativi, con una compresenza non solo di generazioni diverse ma anche di comportamenti differenti all'interno delle stesse generazioni.
Questa situazione indica una "realtà in movimento" dove si intrecciano idee e pratiche individuali che rimandano a molteplici radici culturali, l'officina artistica mantovana è dunque esplorata attraverso quello che è sempre stato un rifiuto costante dell'omologazione e - ancor oggi - si può definire come impossibilità a riconoscersi in un'identità unitaria.
Il progetto espositivo curato da Claudio Cerritelli (docente di storia dell'arte contemporanea all'Accademia di Brera) esprime una volontà di calarsi nei percorsi diramati e fluidi delle opere scelte come segni emblematici di molteplici livelli di ricerca, non temendo di mescolare le differenti storie, anzi intrecciando senza remore esperienze innovative con ricerche più rivolte ai valori del passato. Lo scopo è di restituire al visitatore sia le persistenze dell'arte mantovana (le generazioni più consolidate e attive da diversi decenni) sia le verifiche delle generazioni venute alla ribalta nei due decenni finali del '900, sia - infine- le nuove presenze che comprendono innanzitutto i più giovani, ma non escludono autori più maturi che solo di recente hanno rafforzato la consapevolezza del proprio fare. Le proposte creative mostrano un ampio raggio d'azione riferibile alle temperature concettuali, analitiche ed espressive della pittura e della scultura, alle istallazioni e agli sconfinamenti ambientali, alle implicazioni tecnologiche e ai confronti linguistici con le nuove strumentazioni visive.
Visitando questa mostra lo spettatore si troverà di fronte ad un'avventura policentrica dello sguardo che comporta molteplici livelli di lettura, si tratta di un viaggio polisensoriale nei dinamismi messi in atto da dipinti, sculture, oggetti, assemblaggi, contaminazioni, fotografie, istallazioni, immagini tecnologiche. 



ARTE A MANTOVA, 2000-2010
Persistenze Verifiche e Nuove Presenze
Casa del Mantegna
Via Acerbi 47 - Mantova
tel. 0376 360506 - fax 0376 326685
casadelmantegna@provincia.mantova.it


23 gennaio - 25 aprile 2011
A cura di:  Claudio Cerritelli
da martedì a domenica
10:00 / 13:00 - 15:00 / 18:00

venerdì 21 gennaio 2011

FRANCESCO TORALDO "COMPOSIZIONI MUSICALI" - M.A.C.A. DI ACRI


COMUNICATO STAMPA
A partire da sabato 19 marzo 2011, nell’ambito della quarta edizione del progetto BANCARTIS indetto dalla BCC Mediocrati di Rende, il MACA (Museo Arte Contemporanea Acri) dedicherà un’ampia personale a Francesco Toraldo, artista dotato di una grande forza espressiva, i cui quadri – vere e proprie deflagrazioni cromatiche – possono essere paragonati a delle improvvisazioni jazzistiche tanto raffinate quanto vigorose.
Nato a Catanzaro nel 1960, Toraldo è un pittore la cui peculiarità espressiva è data da un suggestivo e coinvolgente intreccio di narrazioni figurative che non provengono tanto da un progetto precostituito, quanto da un ardore guidato dalla memoria e dalle emozioni. Dalla biografia di questo artista si evince un certo spirito ribelle. A suo tempo, infatti, egli non ha voluto portare a termine gli studi accademici, che gli sono comunque stati utili come base di apprendistato. Il suo vero maestro è stato il padre Enzo, anch’egli pittore, il quale ha saputo infondergli l'amore istintivo per una figurazione forte e calibrata. Le capacità espressive di Francesco Toraldo si effondono nella sua opere con gli effetti vibrati di colori primari e puri che sono evidenti sintomi di un animo che non ama certo tenere sotto controllo la propria fantasia, interpretando il mondo attraverso il filtro delle emozioni; un pittore dotato di un’estrema sensibilità per la rivelazione del particolare inserito in un contesto visivo dove prevale un espressionismo venato di dolcezze post-romantiche.
La collezione di oltre trenta dipinti che faranno parte della mostra offre la quintessenza dell’arte di Toraldo. A colpire immediatamente lo sguardo dello spettatore sono i colori brillanti degli strumenti musicali, esaltato dal contrasto con le mani bianche dei musicisti che sembrano volare sopra di essi, sfiorandoli e sfumando nel passaggio tra le note quasi fossero fatte di polvere di gesso. Il tutto da vita  ad una figurazione calda intrisa di vibrazioni, di palpiti e di passione, fatta di un’immediatezza segnica che sembra nascere direttamente dal colore, senza la necessità di un disegno preparatorio. Il dipinto si genera dall’intreccio istintivo dei colori sulla tela che scaturisce in un’opera informale su cui, successivamente, il pittore costruisce le sue magnifiche figurazioni astratte.
Francesco Toraldo ha tradotto la sensibilità Fauve, lo studio sul movimento tipico dei Futuristi – e di Balla in particolare –, i visi espressionisti leggermente deformati, in una capacità tutta personale di dipingere la musica, di fare del jazz con gli strumenti della pittura, perdendosi in raffinati assoli fatti di esplosioni cromatiche e tempeste segniche.

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FRANCESCO TORALDO, composizioni musicali
Luogo:                 MACA – Museo Arte Contemporanea Acri
                           Piazza G. Falcone, 1 – 87041 Acri (Cs)                           
Curatori:              Boris Brollo e Federico Bria
Vernissage:         19 marzo 2010 ore 18:00
Periodo:              dal 19 marzo al 29 maggio 2011
Orario:                dal martedì alla domenica, 9-13 e 15-19; lunedì chiuso                           
info:                         Museo tel. 0984953309;  Ufficio stampa tel. 0119422568, maca@museovigliaturo.it

sabato 8 gennaio 2011

Dario Rossi

Testo critico di Marzio Dall'Acqua

Apollo, dio della luce, solare corifeo delle Muse, della poesia e della musica, viene sfidato da Marsia, satiro dei boschi, dopo aver ritrovato il flauto inventato da Atena e dalla stessa dea gettato lontano, poiché la imbruttiva gonfiandole mostruosamente le gote mentre lo suonava. Marsia, ignaro della maledizione con la quale il flauto era stato abbandonato, che minacciava sventura a colui che lo avesse raccolto, si entusiasma suonandolo al punto da ritenersi più abile del dio Apollo, magistrale suonatore di lira.
Autoritratto
La sfida si svolge in un paesaggio aperto di pascoli, campi e natura selvaggia, e decreta la vittoria di Apollo, il quale sanziona definitivamente la sconfitta di Marsia condannandolo ad essere scuoiato vivo.
Apollo è il simbolo della vittoria della violenza, del dominio di sé nell’entusiasmo, dell’alleanza tra passione e ragione, la saggezza in lui è frutto di una conquista, di autocontrollo; è simbolo di una suprema spiritualizzazione, dell’ascesa umana, della metamorfosi verso la perfezione in una crescita individuale estrema.
Paesaggio a Bisulan
Il rimando alla pelle scuoiata di Marsia o a quella cristiana di San Bartolomeo, che riprende l’immaginario dell’antica punizione apollinea, ma annullando ogni simbolismo, ogni profondità simbolica ed emotiva, mi è apparso immediato vedendo le opere di Dario Rossi, il suo lavorare sul colore proprio come se fosse non solo epidermide, ma muscoli, nervi, ossature messe a nudo, scuoiate appunto, fatte affiorare da un chirurgo impietoso, freddo ed impassibile, che temporaneamente le dispone in molteplici ed inaspettate contorsioni che annullano ed esaltano la forma umana: una lezione di anatomia esercitata in spazi scabri, sopra cretti che esplodono prosciugati, su grumose nebbiosità d’aria mefitica o d’erbe in stucco.
El putel a caval
Lo sfondo come prospettiva lontana, a sé stante, sul quale si adagia, emerge, affiora, consolidandosi, la figura umana fatta di terra, di carne, di sangue che assume una sua disarticolata fisicità, oltrepassando l’originaria natura da ectoplasma per acquistare peso, spesso persino un volume fatto di colore accumulato ed impastato in un delirio materico e creativo che lascia alle mani, più che all’occhio, la modellazione di forme scomposte, slegate, che acquistano una dimensione oltre la tela, oltre la quinta davanti alla quale la loro esistenza acquista consistenza e solidità.
Non si tratta di evocazioni, di affioramenti né allusivi ad altre forme di esistenza, né mnemoniche.
Non hanno la consistenza dei sogni, ma sono “realistiche”, come lo sono le allucinazioni per chi le sperimenta, come queste appaiono e scompaiono, diventano non eludibili, autonome.
Me mada col so puten
Dario Rossi viene scrivendo con i colori sulla tela un diario personale, privato, delle sue visioni, che hanno la limitazione dell’autobiografia, come dimostrano i titoli in dialetto, nella sua parlata senza mediazioni e senza abbellimenti con rimandi ad eventi e presenze private e non comunicate se non attraverso allusioni, particolari, che richiedono una lettura attenta che superi il momento emotivo dell’impatto con torsioni drammatiche, innaturali, con materie magmatiche.
L'ucraino che l'è ciuk
Immagini che insieme diventano esperienza comune, che ciascuno di noi ritrova in quel subbuglio di paure, di ansie, di desideri e di pulsioni che avvolgono il pianeta del nostro inconscio nel quale ci avventuriamo con precauzione e trepidazione, spesso fermandoci prima dell’ingresso.
Lo sfondo è neutro, indifferente, estraneo all’immagine e all’immaginario, anche quando assurge ad invenzione di paesaggio, anche quando ambisce a diventare spazio, seppure approssimativo, periclitante e malsicuro. Su questi fondali le figure ricavano una propria energia vitale, si vengono espandendo come amebe, si gonfiano con un dinamismo tutto interiore ed interno che ha però la dinamicità ed il movimento della vita.
Dario Rossi trae da sé la forza delle sue visioni e gli auguriamo che a lungo abbia questa arrabbiata, aggressiva, genuina ed autentica capacità d’invenzione, ma egli sembra cogliere nell’aria vapori, nebulosità, relitti della grande pittura del novecento, echi delle avanguardie storiche, atmosfere dei grandi maestri, in un rimando insieme mutevole, cangiante ed indefinibile, proprio del tempo, di una cultura, visiva ricca di presenze, referenze, citazioni ormai fuori da qualsiasi schema, da qualsiasi codificazione, ideologia o tendenza in una mescolanza totale funzionale solo all’emozione, alle proprie necessità espressive e comunicative, con un linguaggio che nasce da un meticciato estetico, immaginativo.
L'airone della guerra
Dario Rossi è figlio di questa cultura che ha assorbito l’informale, l’astratto insieme alle molteplici elaborazioni della figura, senza porsi problemi né domande e senza complessi di inferiorità.
È un modo nuovo, finalmente libero ed antiaccademico per porsi di fronte all’operazione artistica. È forse il modo attuale di essere naïf. Tale infatti spesso viene definito Dario Rossi, proprio per questa autenticità, per questa ingenuità tardoromantica di poter gridare le proprie visioni, di poter coinvolgere tutti nella propria storia, nella propria vita. 
Ed allora possiamo pensare all’influenza su di lui, nel clima del tempo, di artisti come Jean-Michel Basquiat, ai fumetti, al cinema ad un presente visivo che permette a Dario Rossi di orchestrare la propria sinfonia di sentimenti dal dramma, dal rimescolamento psicoanalitico, all’ironia, al rinnovo di una tradizione di arte da strada e di emozioni che non negano il grottesco, la satira ed il riso.
Parma, marzo 2007


Luce di Dio
La pietà
Al mattino presto la bambina prende la rugiada agli occhi per farli diventare più belli