sabato 8 gennaio 2011

Dario Rossi

Testo critico di Marzio Dall'Acqua

Apollo, dio della luce, solare corifeo delle Muse, della poesia e della musica, viene sfidato da Marsia, satiro dei boschi, dopo aver ritrovato il flauto inventato da Atena e dalla stessa dea gettato lontano, poiché la imbruttiva gonfiandole mostruosamente le gote mentre lo suonava. Marsia, ignaro della maledizione con la quale il flauto era stato abbandonato, che minacciava sventura a colui che lo avesse raccolto, si entusiasma suonandolo al punto da ritenersi più abile del dio Apollo, magistrale suonatore di lira.
Autoritratto
La sfida si svolge in un paesaggio aperto di pascoli, campi e natura selvaggia, e decreta la vittoria di Apollo, il quale sanziona definitivamente la sconfitta di Marsia condannandolo ad essere scuoiato vivo.
Apollo è il simbolo della vittoria della violenza, del dominio di sé nell’entusiasmo, dell’alleanza tra passione e ragione, la saggezza in lui è frutto di una conquista, di autocontrollo; è simbolo di una suprema spiritualizzazione, dell’ascesa umana, della metamorfosi verso la perfezione in una crescita individuale estrema.
Paesaggio a Bisulan
Il rimando alla pelle scuoiata di Marsia o a quella cristiana di San Bartolomeo, che riprende l’immaginario dell’antica punizione apollinea, ma annullando ogni simbolismo, ogni profondità simbolica ed emotiva, mi è apparso immediato vedendo le opere di Dario Rossi, il suo lavorare sul colore proprio come se fosse non solo epidermide, ma muscoli, nervi, ossature messe a nudo, scuoiate appunto, fatte affiorare da un chirurgo impietoso, freddo ed impassibile, che temporaneamente le dispone in molteplici ed inaspettate contorsioni che annullano ed esaltano la forma umana: una lezione di anatomia esercitata in spazi scabri, sopra cretti che esplodono prosciugati, su grumose nebbiosità d’aria mefitica o d’erbe in stucco.
El putel a caval
Lo sfondo come prospettiva lontana, a sé stante, sul quale si adagia, emerge, affiora, consolidandosi, la figura umana fatta di terra, di carne, di sangue che assume una sua disarticolata fisicità, oltrepassando l’originaria natura da ectoplasma per acquistare peso, spesso persino un volume fatto di colore accumulato ed impastato in un delirio materico e creativo che lascia alle mani, più che all’occhio, la modellazione di forme scomposte, slegate, che acquistano una dimensione oltre la tela, oltre la quinta davanti alla quale la loro esistenza acquista consistenza e solidità.
Non si tratta di evocazioni, di affioramenti né allusivi ad altre forme di esistenza, né mnemoniche.
Non hanno la consistenza dei sogni, ma sono “realistiche”, come lo sono le allucinazioni per chi le sperimenta, come queste appaiono e scompaiono, diventano non eludibili, autonome.
Me mada col so puten
Dario Rossi viene scrivendo con i colori sulla tela un diario personale, privato, delle sue visioni, che hanno la limitazione dell’autobiografia, come dimostrano i titoli in dialetto, nella sua parlata senza mediazioni e senza abbellimenti con rimandi ad eventi e presenze private e non comunicate se non attraverso allusioni, particolari, che richiedono una lettura attenta che superi il momento emotivo dell’impatto con torsioni drammatiche, innaturali, con materie magmatiche.
L'ucraino che l'è ciuk
Immagini che insieme diventano esperienza comune, che ciascuno di noi ritrova in quel subbuglio di paure, di ansie, di desideri e di pulsioni che avvolgono il pianeta del nostro inconscio nel quale ci avventuriamo con precauzione e trepidazione, spesso fermandoci prima dell’ingresso.
Lo sfondo è neutro, indifferente, estraneo all’immagine e all’immaginario, anche quando assurge ad invenzione di paesaggio, anche quando ambisce a diventare spazio, seppure approssimativo, periclitante e malsicuro. Su questi fondali le figure ricavano una propria energia vitale, si vengono espandendo come amebe, si gonfiano con un dinamismo tutto interiore ed interno che ha però la dinamicità ed il movimento della vita.
Dario Rossi trae da sé la forza delle sue visioni e gli auguriamo che a lungo abbia questa arrabbiata, aggressiva, genuina ed autentica capacità d’invenzione, ma egli sembra cogliere nell’aria vapori, nebulosità, relitti della grande pittura del novecento, echi delle avanguardie storiche, atmosfere dei grandi maestri, in un rimando insieme mutevole, cangiante ed indefinibile, proprio del tempo, di una cultura, visiva ricca di presenze, referenze, citazioni ormai fuori da qualsiasi schema, da qualsiasi codificazione, ideologia o tendenza in una mescolanza totale funzionale solo all’emozione, alle proprie necessità espressive e comunicative, con un linguaggio che nasce da un meticciato estetico, immaginativo.
L'airone della guerra
Dario Rossi è figlio di questa cultura che ha assorbito l’informale, l’astratto insieme alle molteplici elaborazioni della figura, senza porsi problemi né domande e senza complessi di inferiorità.
È un modo nuovo, finalmente libero ed antiaccademico per porsi di fronte all’operazione artistica. È forse il modo attuale di essere naïf. Tale infatti spesso viene definito Dario Rossi, proprio per questa autenticità, per questa ingenuità tardoromantica di poter gridare le proprie visioni, di poter coinvolgere tutti nella propria storia, nella propria vita. 
Ed allora possiamo pensare all’influenza su di lui, nel clima del tempo, di artisti come Jean-Michel Basquiat, ai fumetti, al cinema ad un presente visivo che permette a Dario Rossi di orchestrare la propria sinfonia di sentimenti dal dramma, dal rimescolamento psicoanalitico, all’ironia, al rinnovo di una tradizione di arte da strada e di emozioni che non negano il grottesco, la satira ed il riso.
Parma, marzo 2007


Luce di Dio
La pietà
Al mattino presto la bambina prende la rugiada agli occhi per farli diventare più belli

1 commento:

Sandra M. ha detto...

Vorrei vederli "dal vivo" ,soprattutto Autoritratto e Paesaggio a Bisulan.