lunedì 28 marzo 2011

UMBERTO ZERBINATI - Galleria 2E di Suzzara (MN)

 


Pur non discendendo direttamente dalla grande tradizione dell'incisione moderna mantovana, Umberto Zerbinati (Valeggio sul Mincio, 1885 - Mantova, 1974) ne è il prosecutore più illustre. Non si annoverano altri che abbiano saputo al pari di lui esprimere con gli acidi e la punta metallica i tradizionali valori del paesaggismo virgiliano e che ne abbiano intuito la definizione romantica con altrettranta chiarezza. Alcuni dubitano se sia da preferire in lui il letterato o l'incisore anche se non v'è dubbio che, come scrittore e soprattutto come poeta, ebbe maggior credito di quanto non gli fu dato per le tavole grafiche. Ma la sua qualità espressiva come artista figurativo è tale da porlo alla pari dei maggiori esponenti coetanei di fronte alla storia dell'arte mantovana. Oltreché con grandi poeti ebbe rapporti anche con famose personalità della pittura come Felice Casorati col quale collaborò alla rivista "Via Lattea" (Verona 1914).
Egli si approssima all'incisione dopo aver tentato anche la scultura (è amico di Clinio Lorenzetti) ma desiste a favore dell'incisione alla quale si dedica con cautela elaborando sensibili puntesecche prima di affrontare l'acquaforte. L'iniziale limitazione di non conoscere perfettamente le tecniche specifiche dell'arte lo mette su una posizione di curiosa, continua verifica delle possibilità espressive degli strumenti e dei materiali; è paradossalmente la sua inesperienza a farne uno sperimentatore puntiglioso ed entusiasta. Quando, agli inizi degli anni Cinquanta, realizza una cartella di acquetinte, queste sono realizzate con procedimenti inusitati e producono esiti particolarmente suggestivi. Si direbbe che i suoi primi lavori siano esemplati sull'opera di Antonio Carbonati, ma presto Zerbinati trae profitto anche dall'esperienza fotografica del fratellastro Carlo, incrociandola con la propria.
Dal naturalismo accademista con cui si presenta alle prime mostre, matura una complessità sensuosa e chiaroscurale, attribuendo alle immagini un soffio di mistero con evocazioni lontanamente redoniane, assommando in una stessa stampa finezze crepuscolari con l'uso disinvolto dei più vari strumenti, l'invenzione di procedimenti non ortodossi (è tra i primi a produrre puntesecche su lamina plastica trasparente) con risultati spettacolari, e raggiungendo un'amplissima varietà di toni emozionanti.
"Sono venuto all'arte incisoria dalle lettere" scrive in un brano autobiografico "Non ho avuto alcun maestro; lavoro d'istinto, non mi pongo assunti programmatici, non appartengo e non voglio appartenere a nessuna scuola: solitario in tanto baccano per natura e per elezione persuaso che travailler en troupe - come diceva Paul Fort - est indigne d'un poète". Come si vede, si preoccupava di essere, e di essere considerato, un poeta. Che lo fosse per le sue raccolte di versi, apprezzati da Emilio Cecchi, Eugenio Montale e Benedetto Croce, o lo fosse per la sua in certa misura segreta, opera d'incisore, non mette conto distinguere.

Renzo Margonari

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