domenica 21 novembre 2010

Giacomo Favretto

Venezia nell’Ottocento

Venezia durante l’Ottocento si trova in umiliante situazione del tutto particolare sotto la dominazione austriaca, dopo le vicissitudini napoleoniche seguite alla sua caduta come Repubblica Serenissima nel 1797.
La città della grande tradizione paesaggistisca settecentesca di Guardi e di Canaletto, soggetto vivo di infinite opere di artisti europei, meta dei maggiori intellettuali europei (Turner, Corot, Bonington). Le nuove idee pittoriche erano state introdotte dai numerosi artisti lombardi e toscani dopo la rivoluzione del 1848-49 mentre Domenico Bresolin insegnava una pittura ispirata direttamente alla natura.
Va imponendosi un filone realista, ricco di forti personalità artistiche, che conserva, rispetto alle altre realtà italiane, un peculiare accento.
L’unione con l’Italia nel 1866 determina la liberazione da un incubo: Venezia in questa posizione di povertà e di prostrazione comincia a ricostruire anno per anno la nuova realtà di provincia italiana indipendente.
Gli artisti più importanti dell’Ottocento a Venezia ebbero destini diversi: Canova, Hayez, Favretto, Zandomeneghi, Ciardi, Nono, perché giudicati su un diverso piano culturale.

Biografia
Giacomo Favretto nacque a Venezia l'11 agosto 1849.
Figlio di Domenico di professione falegname, padre di modestissime condizioni economiche, e di Angela Brunello, fece diversi mestieri. Le sue capacità nel disegno vennero seguite in primis dal Conte Antonio de Zanetti e dallo zio di questi, il pittore Gerolamo Astolfoni. Purtroppo la miseria in casa Favretto era grande, e s’imponeva la necessità che anche il ragazzo si guadagnasse il pane. Fu quindi fatto entrare come garzone in una bottega di cartolaio. Lì, nelle ore di quiete si dilettava a disegnare a matita delle figurine di persone e di animali e, con innata abilità, coglieva i profili dei clienti che frequentavano la cartoleria. Questi schizzi un giorno furono notati da tal Vincenzo Favenza, antiquario, che li ammirò tanto da insistere col padre del giovane ed ottenere che gli assicurassero un’educazione artistica. Venne mandato a bottega da un modesto pittore veneziano Francesco Vason, dal quale apprese le prime nozioni di pittura e lo iscrisse, nel 1864, all'Accademia delle belle arti dove ebbe quali insegnanti il Grigoletti ed il Molmenti. Continuerà a frequentare l’Accademia fino al 1877/’78, anche dopo la conclusione degli studi nel 1870.
Oppresso dalla leziosità romantica e dal manierismo accademico dominanti a Venezia verso la metà del secolo, faticò inizialmente a trovare la sua strada artistica ma tra il 1871 e il 1874 dipinse in modo sapiente e ben costruito piacevoli scene di interni familiari, in cui si mostra più attento ai valori e agli effetti del chiaroscuro che a quelli cromatici.
Nel 1873 dipinse un nuovo capolavoro, “La lezione di anatomia”, in cui vengono sperimentati con successo rapporti cromatici e di prospettiva del tutto nuovi. Il lavoro migliore di questo periodo è “I miei cari” 1874.
Intanto la fama della sua genialità cominciava ad uscire dalla piccola e chiusa Venezia: scrive Boito (, 1874): “Nei veneti ci sono due novellini eccellenti, Giacomo Favretto e Luigi Nono…”.
Dedicatosi poi allo studio della grande tradizione veneziana, ne trasse la spinta a uno sforzo costante per ottenere una potente impressione realistica, che già si rivela nel bozzetto “La sartoria” del 1876; mentre “Il sorcio” del 1878 mostra una scena vivacissima, la prima espressione di un episodio umoristico popolare.
Nasce a Venezia il “Verismo”, che vedrà in Favretto il maggiore artefice, l’iniziatore, e che probabilmente con la sua morte, nel 1887, in un certo senso chiuderà questo capitolo della pittura veneziana.
Nel 1879 partì, insieme a Gugliemo Ciardi per Parigi, il viaggio segnò l'inizio della sua fortuna artistica ed economica poiché ebbe moltissime richieste di lavoro da parte dei commercianti inglesi e tedeschi. Il profitto artistico tratto da questo viaggio è rappresentato da una pennellata più movimentata, ma in sostanze l'artista rimane sempre legato strettamente all'ambiente veneziano.
Intorno al 1880 raggiunge un grande equilibrio perseguendo un compatto oggettivismo, facendo tesoro delle esperienze altrui senza mai rinunciare alla propria originalità. Poiché possedeva una notevole memoria visiva, svolgeva il proprio lavoro senza necessità di alcun modello, dipingendo tutto a memoria.

Fu innovatore e anche un ribelle, temperato dal freno della tradizione e attento osservatore della vita quotidiana. Il Favretto non si può intendere se non in quella riproduzione della vita popolare, in una posizione del tutto mutata rispetto agli artisti veneti delle altre epoche e perciò per individuarlo in piena luce bisogna entrare nello spirito della città nella sua epoca. Molti dei suoi quadri riproducono la vita popolare veneziana: con “El difeto xe nel manego” del 1881 da un esempio di commedia maliziosa, con “Il mercato di San Polo” del 1883 offre un modello incomparabile di pittura chiara e squillante, in “Susanna e i Vecchioni” e “Dopo il bagno” giunge a trascurare la determinazione dei personaggi per rendere in un fiume di luce la poesia intima dell'ambiente.
Nel 1884 inviava all’Esposizione di Torino cinque quadri, che ottennero un lusinghiero successo di critica e pubblico. Sempre in questo periodo dipingeva quadri famosi come El liston, prezioso studio compositivo ispirato al costume settecentesco, La zanze, La Nina, El me dise rossa mia, Caldo, tanto per citare i più significativi.
In genere tutti i dipinti del pittore trionfarono alle esposizioni italiane e straniere e fù uno dei pochi pittori che ebbe in vita onori e ricchezze.
Ad un certo punto il suo genio equilibrato accenna a qualche stanchezza “un abuso di colore che non riesce a dissipare l'oscurità di fondo ed anzi toglie trasparenze alle ombre, forse un'eccessiva compiacenza al pezzo di bravura, sembrano svuotare il verismo integrale cadendo forse nel “generismo”. Ma nonostante le violente critiche rivolte a quest'ultimo Favretto restano molte le opere che testimoniano di lui come un grandissimo artista.
Sappiamo che l’Ottocento è molto lungo e con diversi aspetti, ma è necessario cogliere quello dei vent’anni in cui lavorò Favretto esattamente dal 1866, da quando era tra i banchi di scuola diciasettenne, a quando morì a trentotto anni.
La sua breve carriera terminò durante l’Esposizione di Venezia del 1887, che fu per lui un vero trionfo.
Non scampò alla febbre tifoide e morì il 12 giugno 1887.
Termina così con Favretto, un capitolo glorioso della pittura veneziana dell’Ottocento.


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